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Le otto montagne – Paolo Cognetti

cognetti3Titolo:  Le otto montagne

Autore: Paolo Cognetti

Casa Editrice: Einaudi, collana Supercoralli, 2016

Pagine: 208 pagine

Prezzo: € 18,50
ISBN: 9788806226725

Valutazione: ✓✐✐✐✐✐

Trama:

Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo “chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso” ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lì, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, “la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui”. Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: “Eccola lì, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino”. Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.


Recensione:

“Ecco a cosa stavo pensando: da tempo volevo scrivere una storia di montagna, di padri e figli e di amicizia maschile. […] Sapevo che ci sarebbe stata una montagna intorno alla mia storia, un padre all’inizio di tutto, e due amici al centro; e sapevo che il suo respiro sarebbe stato più ampio del solito, per i modelli che avevo in mente e per la scrittura che volevo ottenere. Ero in cerca del mio Due di due e del mio Narciso e Boccadoro, del mio In mezzo scorre il fiume e del mio Gente del Wyoming”

(dal blog di Paolo Cognetti: http://paolocognetti.blogspot.it/)

Ed ecco che Paolo Cognetti riesce nel suo intento, a parte l’ovvio successo letterario di cui “le otto montagne” è stato, giustamente, investito: è riuscito nella ricerca del suo “Due di Due”, del suo “Narciso e Boccadoro”, del suo “In mezzo scorre il fiume” e del suo “Gente del Wyoming”.

Non solo, è riuscito a rendere il ritratto di una generazione, o parte di essa. La mia stessa parte, la mia stessa generazione.
Paolo Cognetti è nato 1978, come me. Come me vive la dicotomia dell’eterna voglia di fuga dalla città e dalle sue false promesse e del suo contraltare, la necessità oggettiva di tornarvi, per essere parte di qualcosa, per continuare a progredire.

Il suo protagonista, Pietro somiglia un po’ al Max de “il matrimonio di mio fratello” di Enrico Brizzi. Brizzi che è anche lui della stessa generazione ed ha, forse, alcuni ideali comuni. Ideali che fanno capo al Walden di Thoreau ma anche a Fenoglio, Pavese e Rigoni Stern. E hanno come luoghi il bosco, la montagna, il cammino e l’altrove.

Il motivo per parlare di questi luoghi lo comunica egli stesso, in un articolo del suo blog:

“Se ci penso mi sembra che questo sia il filo delle mie letture degli ultimi anni, da Hemingway a Karen Blixen, da Thoreau a Sylvain Tesson, da Chatwin a tutti gli altri vagabondi come lui. Non importa che abbiano scritto romanzi, memorie o diari di viaggio, né che raccontino di boschi o città, paesi abitati per molti anni o attraversati in un giorno: i luoghi sono l’oggetto del loro sguardo e scrivere è un tentativo di coglierne l’anima.”

Nel romanzo di Cognetti la montagna è, finalmente, non più la favoleggiata sede di avvicinamento al paradiso bensì un luogo reale dove la gente per vivere fatica, dove la terra produce poco con molto lavoro e le baite sono vuote, dirute perché le famiglie sono andate in città a cercare benessere e stabilità.

Proprio quel benessere che la mia generazione non ha trovato, e nemmeno il Pietro de “le otto montagne”, proprio quella stabilità che nessuno di noi si sogna ancora di anelare.

Come Pietro si cerca, e speriamo, come Paolo si riesce, infine, a centrare l’obbiettivo. Almeno, se proprio, ad andarci vicino.

In molti hanno definito questo romanzo un classico. Lo è di certo, nella sua perfetta descrizione della famiglia di Pietro, nel suo tratteggiare i personaggi in modo così efficace da renderteli cari, o odiosi. Lo è nella scrittura asciutta e pulita, senza fronzoli ma comunque evocativa, ricca di suggestioni.

Immagini che si susseguono come polaroid di una vita intera, due bambini che diventano uomini in maniera diversa, distante ma vicina, o meglio, collegata. Scorci delle cime al fondo dei viali milanesi, quelle giornate terse in cui la città non riesce ad escludere la visione dei sui granitici giganti vicini. E con la loro visione l’immediata nostalgia.

La costruzione della baita, nodo centrale dello sviluppo della trama, il lavoro fisico e manuale che in qualche modo cura: il lutto, il dolore, lo smarrimento. Elementi tipicamente maschili ma più generalmente umani.
La solitudine e il rifugio, la neve e i libri.

Un nuovo classico, è vero. Esempio splendido di letteratura italiana contemporanea, non fatelo mancare nelle vostre librerie, Paolo Cognetti è un autore da cui aspettarsi molto.

© Bianca Casale

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